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Quel vizio chiamato esogestazione

“vuol stare sempre in braccio “

“appena lo metto in culla piange”

“lacialo piangere che fa polmoni”

“vuol rimanere sempre attaccato al seno”

non sarà mai autonomo”

“così piccoli sono già molto furbi”

Quante volte non abbiamo detto o sentito queste frasi?

“Spesso, da noi, si condivide l'opinione secondo cui un bambino che piange o reclama attenzione è soltanto un bambino viziato, capriccioso o furbo o noioso che vuole distrarre l'adulto senza un motivo valido; come se i bisogni dei bambini fossero trascurabili o, addirittura, come se ignorarli servisse al bebè da palestra di vita per diventare grande, forte e indipendente”. (Alessandra Bortolotti, “E se poi prende il vizio?”, Il Leone Vede).

Ma questo “vizio” in realtà ha un nome ben preciso ed è uno dei “vizi2più importanti per la vita e la crescita di un bambino.

Per nove mesi il piccolo rimane all'interno dell'utero materno in un mabiente caldo, protetto ed ovattato, il bambino si sente contenuta, si nutre e respira grazie al cordone ombelicale, quel solido ed inimitabile legame che ricorderà per tutta la vita il periodo intrauterino.

All'interno dell'utero materno il bambino si sente accudito e contenuto, cullato dal liquido amniotico, avvolto dal sacco placentare, che fa da tramite tra lui e la madre e che lo protegge da ogni stimolo esterno, infine il battito cardiaco regala in gni istante un sottofondo dolce ,armonioso e rassicurante. Stiamo parlando di endogestazione (gestazione dentro l'utero).

Tutto d'un tratto il bambno si ritrova sbalzato fuori, in un ambiente freddo e sterile, senza barriere contenitive e senza il battito cardiaco materno, d'improvviso è costrettoo a respirare da solo, a cercare il nutrimento , d'improvviso deve imparare a vivere, ma è disadattato alla sopravvivenza sia sotto il profilo dell’adattamento motorio sia dal punto di vista dell’adattamento cognitivo e sociale. Egli fa parte, però, di un’unità simbiotica: durante la gravidanza è stata la madre, a fornirgli rifugio e sostentamento nel grembo, con il parto invece il piccolo, a causa della forzata e prematura interruzione della vita fetale vive un’esperienza traumatica di abbandono e di lacerazione.

Ecco quindi che inizia per lui un periodo di adattamento, chiamato esogestazione (gestazione fuori dall'utero).

E' curioso notare come il periodo dell'esogestazione coincida in qualche modo con quello dell'endogestazione e termini esattamento con la crisi dell'attaccamento. Nove mesi nel grembo materno e nove mesi fuori Come già studiato da Bowlby negli anni '40 con la teoria dell'attaccamento, infatti, il neonato in questi suoi primi mesi di vita, ha il bisogno fisiologico di essere contenuto, percepire il battito del cuore della mamma e di non essere troppo esposto a stimoli. Ciò influisce sullo sviluppo cardiorespiratorio, sull’ossigenazione del sangue, sulla regolazione termica e sulla conseguente intensificazione dello sviluppo generale. La paura costante di tutte le madri è però quella di viziare il proprio bambino. “Nei gradini della scala zoologica più prossima alla specie umana i piccoli presentano alla nascita un grado maggiore di autonomia e, conseguentemente, minore necessità di cure parentali. Il neonato umano invece si trova in uno stato di relativa impotenza e, come sostiene Hartmann, la ridotta gamma degli istinti lo costringe ad una dipendenza pressochè totale nei confronti dei genitori e, in generale, dell’ambiente circostante.”

Se osserviamo il neonato nei primi tre mesi di vita possiamo notare che non è in grado di direzionare intenzionalmente i suoi movimenti, egli muove braccia e gambe in maniera casuale. È la madre a fungere da contenitore al neonato che in questo modo non si sentirà disperso e sentirà i limiti del suo corpo cominciando a sperimentare il suo senso di identità, di esistenza. Grazie al contatto pelle a pelle con la madre può appunto i suoi sistemi autonomi, il sistema immunitario, endocrino e neurovegetativo, ma anche i suoi apparati fisiologici. Il latte materno gli fornisce anticorpi, ormoni e informatori e dal corpo materno che gli insegna i ritmi. Il corpo materno è un vero e proprio monitor delle funzioni fetali e interviene in modo subcorticale nel loro aggiustamento.

Il contatto con la madre farà inoltre da elemento di continuità tra mondo intrauterino e mondo esterno, avrà un contatto con lo stesso odore, la stessa voce e gli altri stimoli che coglievano i suoi sensi quando stava al sicuro nella pancia della mamma.

Come diceva Ashley Montagu (1905-1999), noto antropologo, scienziato e umanista inglese,

“Il tatto, inteso come “il senso del corpo intero” è il primo sistema sensorio attraverso cui il feto e il neonato iniziano a “conoscere il mondo”, prima ancora che con la vista e con l’udito.” La pelle infatti è ricca di terminazioni nervose e per il bimbo l’esser toccato, l’entrare in contatto con il corpo della madre ed influisce sullo sviluppo cardiorespiratorio, sull’ossigenazione del sangue, sulla regolazione termica e sulla conseguente intensificazione dello sviluppo generale.

Ma come dicevamo qualche riga più su la paura costante di tutte le madri è però quella di viziare il proprio bambino. Non c’è davvero alcun motivo perché la mamma, nel rapportarsi al proprio piccolo, debba precludere o “dosare” il contatto corporeo: Non c'è alcun reale motivo se non stupidi ed inutili pregiudizi. Il contatto corporeo tra mamma è bambino è fondamentale ed alla base dei rapporti umani che avranno i nostri bambini in futuro.

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